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M&A e capitali di sviluppo: Investitori liquidi in cerca di opportunità nell’equity; attenzione verso le medie e piccole operazioni.

Nei primi 9 mesi del 2022, la congiuntura economica in atto ha impattato negativamente sul numero delle transazioni M&A: sono state concluse 781 operazioni (-14% rispetto alle 906 operazioni dello stesso periodo dello scorso anno) per un controvalore pari a oltre 56 miliardi di euro (rispetto ai 71 miliardi di euro dei primi nove mesi del 2021, ove incideva l’operazione Stellantis per circa 20 miliardi di euro). Il capitale investito medio per deal, escludendo il megadeal citato, risulta peraltro aumentato da 56 milioni nei primi 9 mesi del 2022 a 71 nel 2022.


Sono i dati dei principali analisti del mercato e discussi all’inizio dell’appuntamento ”Il circolo virtuoso Capitale di rischio - M&A” organizzato dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Verona che il giorno 17 ottobre 2022 ha visto la presenza in sala di numerosi imprenditori, professionisti e rappresentanti delle categorie imprenditoriali tra cui Renato Dalla Bella presidente di Apindustria Verona con il direttore Lorenzo Bossi.

«Lo scenario rimane comunque positivo in termini di impatto delle operazioni sulle imprese  - ha osservato Paolo Fiorini, dottore commercialista, presidente della commissione Capitale di Rischio ed M&A dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Verona -  anche se i dati evidenziano come siano state soprattutto le transazioni di taglio medio piccolo a contrarsi, e ciò si ritiene a causa della sofferenza delle PMI che mostrano un gap momentaneamente aumentato tra valore percepito all’interno e valore riconoscibile dall’esterno.»

Nei primi 6 mesi del 2022, l’expansion (investimenti di minoranza in aumento di capitale finalizzati alla crescita dell’azienda) ha registrato una diminuzione dell’attività, con 186 milioni di euro (contro i 299 milioni del I semestre del 2021, -38%), investiti in 15 operazioni (-35%). Il dato è ascrivibile agli stessi motivi descritti per l’M&A, ovvero la difficoltà di veder riconoscere un valore adeguato ad imprese sofferenti in periodi di congiuntura negativa

La pipeline M&A prevista in chiusura per il fine anno è composta da operazioni medio-grandi che porterebbero ad un mercato M&A italiano pari a circa 70 miliardi, valore più alto di quanto registrato nel 2019, ultimo anno pre-pandemia. L’attività del prossimo trimestre sarà impattata dall’aumento dei tassi di interesse, dall’insediamento del nuovo esecutivo e dall’oscillazione dei prezzi delle risorse energetiche e saranno decisive le risposte da parte dei Governi

«Sul mercato dell’equity - ha proseguito Fiorini - la raccolta ha registrato una contrazione momentanea. Ciò nonostante, gli investitori mantengono ampie liquidità, tanto che permane la pressione alla ricerca di buoni targets su cui investire .»

Il convegno si è sviluppato intorno al rapporto tra investitori ed imprese dove il dato generale è stato confermato da Pietro Marcato, imprenditore a capo di due aziende, presidente della Sezione Alimentari di APIndustria Verona, il quale, osservando empiricamente la realtà, ha riferito di numerose disponibilità da parte di fondi, manifestate verso PMI in particolar modo del comparto alimentare, ad effettuare investimenti a supporto della crescita e creazione di valore. Nonché ha riferito di numerose operazioni che hanno visto come protagoniste PMI che sono  state aggregate.  «Si tratta di un fenomeno - ha asserito Marcato – che è nuovo per le PMI e che dovrà essere monitorato per l’impatto che questo tipo di capitali ha sulla autonomia e dinamicità delle aziende familiari..

Tradotto in termini pratici, ha osservato Fiorini - La domanda corrente tra gli imprenditori è insomma  “Piccolo era bello o piccolo è bello” ?» 

Tra gli altri interventi al convegno, Massimo Scolari, CFO del gruppo AEB Spa, che ha illustrato le numerose operazioni del gruppo protagonista contemporaneamente di una singolare successione di operazioni in equity e di un percorso di crescita per linee esterne, realizzato acquisizione dopo acquisizione. Il gruppo AEB, che ha sede a Brescia, con un fatturato consolidato previsto 2022 pari a circa 130 Milioni di euro, nel tempo ha avuto infatti 5 passaggi di proprietà: il primo tra i due fratelli soci fondatori, gli altri quattro tra fondi di Private Equity (secondary buyouts); le società terze che AEB ha acquistato con il supporto dei fondi sono 11, a cui si aggiunge la costituzione di 5 nuove filiali dirette. Così proseguendo, AEB ha battuto i benchmarks di settore, attualmente commercializza in 74 Paesi, tra cui 16 presidiati con sedi commerciali o produttive.

I differenti aspetti delle operations, attraverso case histories di investitori finanziari, holding ed organizzazioni industriali createsi mediante l’azione congiunta di Equity & M&A, sono stati esposti da Fabio Buttignon dottore commercialista e professore ordinario di Corporate Finance all’Università di Padova, che ha fatto riferimento soprattutto a casi di aggregazioni di aziende avvenuti in terra veneta per opera di club deals, od attori che hanno agito con ottica lungimirante ed approccio imprenditoriale.

«In definitiva, l’utilizzo di capitale di sviluppo, sottoforma di apporti di investitori in equity, e le acquisizioni pilotate con metodo, consentono performance aziendali migliorative rispetto al mercato, come dimostrano i dati generali e come conferma l’osservazione di casi empirici - ha concluso Fiorini. E date le liquidità del mercato e l’apprezzamento per il made in Italy da parte degli investitori, pare siano molteplici le opportunità da cogliere per le aziende, ma anche per la professione.»

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